venerdì 9 dicembre 2016

VINCENZO FONTANA, Costituzione


L’occasione di parlare di riforma costituzionale ci dà l’opportunità, in estrema sintesi, di fare una riflessione su che cosa è una Costituzione e come essa può essere riformata.
   Possiamo ricordare che, fin dall’affermazione del principio del costituzionalismo, intorno alla seconda metà del diciannovesimo secolo, è stata riconosciuta la precedenza e la superiorità della Costituzione sul governo.

   A tale proposito, vorrei citare l’affermazione di Thomas Paine, colui il quale, per riconoscimento unanime di tutti gli studiosi, per primo formulò le linee del costituzionalismo moderno:

A Constitution is a thing antecedent to a government, and a government is only the creature of a Constitution. The Constitution of a country is not the act of its government”(…) but it is the body of elements to which you can refer, and quote article by article”.

    Le assemblee legislative, ovvero i parlamenti, altresì, derivano la loro autorità dalla Costituzione formulata dall’assemblea costituente eletta dal corpo elettorale formato da tutti i cittadini i quali votano a suffragio universale.
 In estrema sintesi una Costituzione è, per così dire, una sistematizzazione dei diritti umani naturali e civili dell’uomo o, se vogliamo, il codice etico e democratico di una nazione, di un popolo.
   Le Assemblee legislative e governi devono operare nel rispetto e nei limiti della Costituzione e la stessa Costituzione può essere riformata nei termini da essa previsti; ma appare evidente che nessuna riforma costituzionale può abolire i principi inalienabili che sono i corrispondenti dei diritti universali dell’uomo e del cittadino.  Per paradosso, si può affermare che non può essere concepita una riforma costituzionale che abolisca il suffragio universale, dando potere ad un Re o a un dittatore perché significherebbe l’abolizione di uno dei diritti fondamentali di cui sopra. E questo non può accadere né in forma esplicita né in forma implicita, cioè in maniera surrettizia.
   Ora, uno dei diritti fondamentali dell’uomo è il suffragio universale, cioè il riconoscimento che ciascuno cittadino in uno Stato libero ha il diritto di votare ed eleggere liberamente i propri rappresentanti. Questo diritto è collegato al principio della sovranità popolare, principio basilare della democrazia rappresentativa. Questo principio è talmente importante che nella Costituzione italiana è messo nell’articolo 1, e recita cosi: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. In nessun modo, questo principio può essere modificato, alterato o annullato. In altri termini, è un principio inalienabile.
   Continuiamo il nostro ragionamento ponendoci una domanda: può esistere un parlamento o un  popolo i quali, apertamente o surrettiziamente, possono riformare una Costituzione in modo tale da svuotare questo principio? Un popolo presumo di no; perché è mai pensabile che voti contro il proprio diritto di votare? Ma un parlamento sì, può farlo. Senza modificare l’articolo uno, il parlamento può svuotarlo, esautorarlo. Come? In tanti modi, uno è come stanno facendo il governo Renzi e il Parlamento sulla cui proposta di riforma costituzionale siamo chiamati a votare il 4 dicembre prossimo.
   Ma continuiamo a ragionare entrando nel merito. Il combinato disposto della Riforma elettorale detta “Italicum” con la riforma costituzionale ha provocato una decisa reazione nel paese e ha provocato una polemica che ha sconquassato anche il Partito democratico. E’ evidente che le due cose messe insieme sono una specie di colpo di Stato in quanto consentirebbero, se approvati dal corpo elettorale, alle segreterie dei partiti, in particolare di un partito, il vincitore delle elezioni, di “nominare” due terzi dei deputati.
   L’accordo raggiunto dentro il PD tra la maggioranza e l’area Cuperlo, senza il consenso dell’area di minoranza di Bersani, a detta di Renzi, disinnescherebbe questa bomba ad orologeria. Ma, senza entrare nel merito, l’accordo è tutto interno al PD e si vedrà, se accadrà, la sua trasformazione in legge nel Parlamento molto dopo il voto sul referendum del 4 dicembre. Pertanto, questo pezzo di carta firmato è ininfluente ai fini di una eventuale modifica del nostro ragionamento. Senza considerare il fatto che un corpo elettorale non può essere chiamato a votare sulla parola di un capo partito nonché capo governo la cui affidabilità è molto ma molto dubbia. Comunque sia, il 4 dicembre si voterà con il combinato disposto di cui si parla e basta questo per votare NO!
   Si diceva in premessa che le assemblee legislative o i parlamenti hanno facoltà di legiferare, e nella misura in cui lo fanno devono essere eletti direttamente dal popolo perché ad esso devono dare conto, così come previsto dall’articolo uno della Costituzione. Un parlamento può essere composto da due camere o da una ma se è composto da due rami che legiferano tutti e due devono essere eletti dal popolo. Accade così nella proposta di riforma? Proprio NO e poi NO.
   Il presidente del Consiglio Renzi aveva detto che era intenzione del suo governo di proporre l’abolizione del Senato oppure che questo non avrebbe avuto alcuna potestà legislativa ma così non è stato. Il Senato non è stato abolito, ma esiste ancora maltrattato e sfregiato dalla proposta di riforma dell’articolo 70 che sembra scritto da uno psicopatico. L’avete letto? E’ impressionante! Non si capisce cosa vuole dire, prefigura dieci procedimenti legislativi ora di competenza della Camera dei deputati ora del Senato, immaginarsi come potrà servire da linea guida per fare le leggi. Comunque, l’articolo 70 mantiene la potestà del Senato di fare leggi e, pertanto, in maniera assoluta, non può essere eletto con una elezione di secondo grado ma direttamente dal popolo sovrano (In ogni caso, il problema della rappresentatività è così grave poiché mette sullo stesso piano la Valle d’Aosta con trentamila abitanti e la Sicilia con circa sei milioni di abitanti).
   Come si vede, la proposta di riforma costituzionale formalmente non tocca l’articolo uno ma di fatto lo svuota, in quanto annulla la sovranità popolare. Senza utilizzare grosse espressioni si può affermare che la proposta può definirsi un colpo di Stato strisciante.
    Sono dell’ultima ora affermazioni di alcuni sostenitori della riforma costituzionale (leggasi Rondolino) che considerano il suffragio universale e la sovranità popolare come dannosi per la “civiltà occidentale” (sembra di leggere il dossier della Banca J.P. Morgan intitolato “Europe Economic Research” del 28 maggio 2013, nel quale si invitano gli Stati occidentali a modificare le Costituzioni perché troppo democratiche se non addirittura socialiste). Pertanto, definire questa proposta di riforma costituzionale una “involuzione democratica” è solo un eufemismo.
(…) Basta questo per motivare il mio NO, sorvolando sulla demolizione dell’autonomia regionale la quale di fronte alla gravità di quanto finora espresso passa sicuramente in secondo piano.

Grazie per l’Attenzione.

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