L’occasione di parlare di riforma costituzionale ci dà
l’opportunità, in estrema sintesi, di fare una riflessione su che cosa è una
Costituzione e come essa può essere riformata.
Possiamo ricordare
che, fin dall’affermazione del principio del costituzionalismo, intorno alla
seconda metà del diciannovesimo secolo, è stata riconosciuta la precedenza e la
superiorità della Costituzione sul governo.
A tale proposito, vorrei
citare l’affermazione di Thomas Paine, colui il quale, per riconoscimento
unanime di tutti gli studiosi, per primo formulò le linee del costituzionalismo
moderno:
”A Constitution is a thing antecedent to a government, and a government is only the creature of a Constitution. The Constitution of a country is not the act of its government”(…) but it is the body of elements to which you can refer, and quote article by article”.
Le assemblee legislative, ovvero i parlamenti, altresì, derivano la loro autorità dalla Costituzione formulata dall’assemblea costituente eletta dal corpo elettorale formato da tutti i cittadini i quali votano a suffragio universale.
In estrema sintesi una
Costituzione è, per così dire, una sistematizzazione dei diritti umani naturali
e civili dell’uomo o, se vogliamo, il codice etico e democratico di una
nazione, di un popolo.
Le Assemblee
legislative e governi devono operare nel rispetto e nei limiti della
Costituzione e la stessa Costituzione può essere riformata nei termini da essa
previsti; ma appare evidente che nessuna riforma costituzionale può abolire i
principi inalienabili che sono i corrispondenti dei diritti universali
dell’uomo e del cittadino. Per
paradosso, si può affermare che non può essere concepita una riforma costituzionale
che abolisca il suffragio universale, dando potere ad un Re o a un dittatore
perché significherebbe l’abolizione di uno dei diritti fondamentali di cui
sopra. E questo non può accadere né in forma esplicita né in forma implicita,
cioè in maniera surrettizia.
Ora, uno dei diritti
fondamentali dell’uomo è il suffragio universale, cioè il riconoscimento che
ciascuno cittadino in uno Stato libero ha il diritto di votare ed eleggere liberamente
i propri rappresentanti. Questo diritto è collegato al principio della
sovranità popolare, principio basilare della democrazia rappresentativa. Questo
principio è talmente importante che nella Costituzione italiana è messo nell’articolo 1, e recita cosi: “L’Italia
è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al
popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. In
nessun modo, questo principio può essere modificato, alterato o annullato. In
altri termini, è un principio inalienabile.
Continuiamo il
nostro ragionamento ponendoci una domanda: può esistere un parlamento o un popolo i quali, apertamente o
surrettiziamente, possono riformare una Costituzione in modo tale da svuotare
questo principio? Un popolo presumo di no; perché è mai pensabile che voti
contro il proprio diritto di votare? Ma un parlamento sì, può farlo. Senza
modificare l’articolo uno, il parlamento può svuotarlo, esautorarlo. Come? In
tanti modi, uno è come stanno facendo il governo Renzi e il Parlamento sulla
cui proposta di riforma costituzionale siamo chiamati a votare il 4 dicembre
prossimo.
Ma continuiamo a
ragionare entrando nel merito. Il combinato disposto della Riforma elettorale
detta “Italicum” con la riforma
costituzionale ha provocato una decisa reazione nel paese e ha provocato una
polemica che ha sconquassato anche il Partito democratico. E’ evidente che
le due cose messe insieme sono una specie di colpo di Stato in quanto
consentirebbero, se approvati dal corpo elettorale, alle segreterie dei
partiti, in particolare di un partito, il vincitore delle elezioni, di
“nominare” due terzi dei deputati.
L’accordo raggiunto
dentro il PD tra la maggioranza e l’area Cuperlo, senza il consenso dell’area
di minoranza di Bersani, a detta di Renzi, disinnescherebbe questa bomba ad orologeria.
Ma, senza entrare nel merito, l’accordo è tutto interno al PD e si vedrà, se
accadrà, la sua trasformazione in legge nel Parlamento molto dopo il voto sul
referendum del 4 dicembre. Pertanto, questo pezzo di carta firmato è
ininfluente ai fini di una eventuale modifica del nostro ragionamento. Senza
considerare il fatto che un corpo elettorale non può essere chiamato a votare
sulla parola di un capo partito nonché capo governo la cui affidabilità è molto
ma molto dubbia. Comunque sia, il 4 dicembre si voterà con il combinato
disposto di cui si parla e basta questo per votare NO!
Si diceva in
premessa che le assemblee legislative o i parlamenti hanno facoltà di
legiferare, e nella misura in cui lo fanno devono essere eletti direttamente
dal popolo perché ad esso devono dare conto, così come previsto dall’articolo
uno della Costituzione. Un parlamento può essere composto da due camere o da
una ma se è composto da due rami che legiferano tutti e due devono essere
eletti dal popolo. Accade così nella proposta di riforma? Proprio NO e poi NO.
Il presidente del Consiglio
Renzi aveva detto che era intenzione del suo governo di proporre l’abolizione
del Senato oppure che questo non avrebbe avuto alcuna potestà legislativa ma
così non è stato. Il Senato non è stato abolito, ma esiste ancora maltrattato e
sfregiato dalla proposta di riforma dell’articolo 70 che sembra scritto da uno
psicopatico. L’avete letto? E’ impressionante! Non si capisce cosa vuole dire, prefigura
dieci procedimenti legislativi ora di competenza della Camera dei deputati ora
del Senato, immaginarsi come potrà servire da linea guida per fare le leggi.
Comunque, l’articolo 70 mantiene la potestà del Senato di fare leggi e,
pertanto, in maniera assoluta, non può essere eletto con una elezione di
secondo grado ma direttamente dal popolo sovrano (In ogni caso, il problema
della rappresentatività è così grave poiché mette sullo stesso piano la Valle
d’Aosta con trentamila abitanti e la Sicilia con circa sei milioni di abitanti).
Come si vede, la
proposta di riforma costituzionale formalmente non tocca l’articolo uno ma di
fatto lo svuota, in quanto annulla la sovranità popolare. Senza utilizzare
grosse espressioni si può affermare che la proposta può definirsi un colpo di
Stato strisciante.
Sono dell’ultima ora affermazioni di alcuni sostenitori
della riforma costituzionale (leggasi Rondolino) che considerano il suffragio
universale e la sovranità popolare come dannosi per la “civiltà occidentale”
(sembra di leggere il dossier della Banca J.P. Morgan intitolato “Europe
Economic Research” del 28 maggio 2013, nel quale si invitano gli Stati
occidentali a modificare le Costituzioni perché troppo democratiche se non
addirittura socialiste). Pertanto, definire questa proposta di riforma costituzionale
una “involuzione democratica” è solo un eufemismo.
(…) Basta questo per motivare il mio NO, sorvolando sulla
demolizione dell’autonomia regionale la quale di fronte alla gravità di quanto
finora espresso passa sicuramente in secondo piano.
Grazie per l’Attenzione.
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