
L’educazione è, in senso lato, fatto sociale, in quanto processo
mediante il quale l’individuo assimila, fin dalla nascita, le conoscenze, le
tecniche, le abitudini di vita che la civiltà umana ha prodotto nel suo
sviluppo.
L’educazione, in senso stretto, cioè l’educazione scolastica, ha
anch’essa un carattere sociale che deve investire, secondo Dewey, tutti gli
aspetti del processo educativo: le finalità educative, i contenuti culturali.
L’organizza- zione della scuola è da lui concepita come una comunità
democratica che stimola spirito di partecipazione e corresponsabilità. E, pertanto,
deve preparare ad una vita futura. Scrive Dewey a tal proposito: “L’ideale di
adoperare il presente unicamente come preparazione al futuro è in sé contraddittorio.
Noi viviamo sempre nel nostro tempo e non in un altro: solo estraendo in ogni
momento il pieno significato di ogni esperienza presente ci prepariamo a fare
altrettanto nel futuro”.
Ciò significa, innanzi tutto, che l’azione educativa deve essere
gratificante e significativa per l’alunno. Coerentemente con questa analisi,
Dewey si adoperò sempre per superare l’artificiosa divisione tra studi
classici, studi tecnici e professionali, nel tentativo di elaborare un nuovo
umanesimo del lavoro. Le discipline scientifiche e tecniche vengono da lui
considerate nel loro aspetto formativo di cultura generale e non come precoce
avviamento professionale. Centrali, nel processo di apprendimento, non sono le
no- zioni, ma le attitudini e le capacità ad esse connesse. In particolare, se
l’alunno ha acquisito la motivazione ad apprendere, conserverà queste abilità
per tutta la vita e continuerà ad apprendere in ogni situazione (oggi diremmo:
imparare ad imparare, lungo tutto l’arco della vita – liflelong learning).
Scrive Dewey, tra l’altro: L’attitudine che più importa sia acquisita
è il desidero di apprendere (oggi diciamo “la motivazione ad apprendere”. “Con
l’avvento della democrazia e delle moderne condizioni industriali è impossibile
predire con precisione come sarà la civiltà da qui a vent’anni. E’ perciò
impossibile preparare il fanciullo ad un ordine preciso di condizioni. Prepararlo
alla vita futura significa dargli la padronanza di sé stesso...)”.
A tale proposito, ci premettiamo di fare un’ulteriore riflessione
‘filosofica’: secondo Hegel non esiste una coscienza dello ‘spirito’ in sé,
nel senso che è immutabile e uguale per tutti; se coscienza di sé è
fenomenologia dello ‘spirito’ e, pertanto, coincide con quello che fai nella
realtà, nello sviluppo personale e sociale dell’uomo, qualsiasi considerazione
a priori risulta di ostacolo a questo sviluppo e allo stesso sviluppo della
democrazia. Pertanto, anche nello sviluppo della personalità di un discente,
non si può parlare di un modello precostituito ma di uno sviluppo per
attitudini, per esperienze, per osmosi, per auto orientamento.
Tornando alla pedagogia di Dewey, si può affermare che essa è centrata
sul principio pedagogico che l’allievo apprende facendo: “learning by doing”.
Secondo questa concezione della conoscenza, conoscere significa modificare
l’oggetto, la realtà, interagendo col mondo e, quindi, modificare sé stesso.
Gli studenti che imparano a cucinare non lo fanno per diventare dei cuochi di
professione ma perché, attraverso quella esperienza, apprendono anche nozioni
di zoologia, botanica, chimica, storia, e così via.
Un’ultima annotazione a margine: le indicazioni nazionali del I e del
II ciclo fanno esplicito riferimento alla pedagogia di Dewey in quanto
l’allievo viene posto al centro del processo di insegnamento-apprendimento, con
l’importanza delle attività laboratoriali, che riguardano tutte le discipline,
perché l’apprendimento è fatto non solo di conoscenze ma di abilità e di competenze
che vanno acquisite con adeguate strategie didattiche.
In relazione a quest’ultima riflessione, tornando sul piano filosofico
e pedagogico, chiudiamo con la citazione di un grande filosofo, Immanuel Kant,
nella misura in cui per primo declinò il ‘phenomenon’ uomo in sapere, sapere
fare e sapere essere.
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